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Ciao Franca….

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Sono stati i primi msg sul telefono ad impaurirmi. Uno dietro all’altro. Could not believe it. Fino ad arrivare a questo

“mi disp per la Sozzani, so che eravate amici…”

Amici. Amici è una parola troppo grossa… Ero un suo giornalista, questo si.
La conoscevo appena, e sopratutto da lontano, i nostri incontri erano aleatori, di una intimità nascosta, indelebile, unilaterale, al punto che se fossi psicopatico, potrei dirvi che LEI sapeva benissimo chi ero. Almeno finchè non ci si scriveva, 2/3 volte all’anno, specialmente quando le piacevano i miei articoli. Così come quando mi rispose x Caos & Creation, confidandomi dubbi, obiettività e felicità del ruolo di madre, dopo avermi fatto partecipe del suo passato, personale e professionale.

Corro poi ad aprire il giornale …sono senza fiato. Intontito, tanto è il dolore che sto provando in questo momento.
Dolore fisico, malinconia bastarda che sarà sempre con me, tanto il TUO nome è legato al mio scrivere.
Anche se ero semplicemente uno dei tuoi giornalisti, a me piacevi. E un sacco anche, una delle poche persone alle quali ho dato sempre del LEI.

Fuck, non riesco a trattenere le lacrime. Non riesco a smettere di vederti. non riesco a smettere di pensarti.
Ti vedo camminare lungo il corridoio, di te ricordo la chioma, lunga bionda, campo di grano, visto che ti ho quasi sempre vista da dietro, te che scappavi, “oggi è già finito, appartiene al passato, io lavoro per il futuro” amavi dire. Ti vedo dietro alla scrivania, in quell’ufficio dove, dopo aver predicato, hai insegnato cosa vuol dire ‘lavorare’ duro. Quello stesso ufficio in cui ben 10 anni fa sono entrato senza bussare e salutandoti per la prima volta, ti ho apostrofato:

“Ciao Franca. Roberto, quello della fiaba di Michael Jackson.”

Al tuo ricambiare con un semplice ‘CIAO’ …ho visto gli occhi di tutti i 287 condenastini che, fissandomi incredulo, mi chiedevano implacabilmente perchè ti avessi dato del “TU”. Non sapevo fossi regale, non sapevo fossi altezzosa, non sapevo bisognasse inginocchiarsi. Non lo eri. Non ne avevi bisogno. Preferivi ‘incazzarti’, visto che lo consideravi, giustamente, il momento migliore x creare. Donna di poche parole, zero perdita di tempo. Mi è sempre piaciuto pensare che ‘tu’ avessi capito subito chi fossi, o meglio, cosa non volevo. Che avessi capito che l’unica cosa che m’importava era quella di sparare inchiostro e raccontare incontri.

“Buongiorno, sono Franca Sozzani, bellissimo pezzo, non cambiamo una virgola …”

Pensando ad uno scherzo dubitai delle tue parole, solo per sentirmele ripetere prima che mi riappendessi il telefono. Una telefonata che mi ha cambiato la vita. Anche se è stato Paolo ad insegnarmi rules et regulations dello Style di Vogue, anche se dialogavo con Carlo&Lella, anche se G.Luca fu il mio primo editor a L’Uomo Vogue, è stata LEI a permettermi quella libertà di agire d’istinto, di andare controcorrente, di ascoltare la propria anima, la propria creatività. Da allora, ho sempre detto a tutti, orgogliosamente, che scrivevo per Franca Sozzani.

E segretamente so che le piaceva come scrivevo. L’ho capito dalle sfumature delle sue emails. Dalle parole misurate ma mirate. Sempre a getto, come le mie. Mai potrò dimenticare quella volta in cui ad uno shoot con Oliver Stone/Tarantino, a LA, venni a sapere che Francesco era suo figlio. Fino all’ultima volta, quella in cui mi scrisse, dopo avermi ‘permesso’ di conoscere meglio la sua vita, il suo personale, il suo amore per Francesco e per il suo giornale:

“Grazie Roberto, grazie di cuore!”

È proprio vero quello che dicevano i nostri vecchipoche ma buone.

Ciao Franca… mi mancherai.

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